Cultura
giovedì 17 ottobre 2019
Che fine ha fatto il pubblico di Pesaro?

di Luca Petinari
La Victoria Libertas ha appena ufficializzato che la campagna abbonamenti per la stagione 2019/2020 targata Carpegna Prosciutto Basket si è conclusa con 3500 tessere stampate. Numeri importanti per una stagione iniziata con qualche intoppo (leggasi: infortuni e zero punti in classifica dopo quattro giornate) e con una squadra che è più un laboratorio, con tante scommesse e poche certezze - se non quelle della giovane età. Alla Vitrifrigo Arena, però, nei due match contro le bolognesi, Fortitudo e Virtus, due rivali storiche, al netto di una bella cornice di pubblico, lo stesso non si è mostrato particolarmente attivo.
"La curva è quel che è - commenta un tifoso su Facebook - chi vuole unirsi si accomodi". "Quelli di fianco a me a momenti si addormentano", commenta un altro. "Ci siamo imborghesiti", è un po' il pensiero comune sui social. "Battiamo le mani cinque volte in una partita, di cui quattro quando parte la musica". Eppure all'inizio di ogni partita lo speaker Tomas Nobili introduce il pubblico di Pesaro come il sesto uomo in campo, ovvero il fattore che dovrebbe creare vantaggio alla squadra, spingendola e motivandola, nel bene e nel male.
E per tantissimi anni è stato così davvero. Tant'è che la tradizione cestistica pesarese e la nomea di Basket City derivano proprio dall'impatto che il pubblico pesarese aveva nelle partite, oltre ovviamente alle vittorie sul campo. Quando si giocava all'Hangar di viale dei Partigiani, per le squadre avversarie più che in trasferta sembrava di essere in una trappola. Poi lo spostamento in quella che oggi chiamiamo Vitrifrigo Arena ha sicuramente ampliato gli spazi, ma non ha ridotto l'entusiasmo: pubblico numeroso e caloroso, per anni riconosciuto come il migliore d'Italia.
Ricordo che nella serie playoff 2003/2004 vinta 3-2 contro Napoli, in un momento di difficoltà biancorosso, a seguito di un dubbio fischio arbitrale, l'intero Inferno Biancorosso scese dalla curva per posizionarsi a bordo campo. E così fecero anche da altri settori. Il pubblico voleva far sentire la sua vicinanza alla squadra, voleva essere letteralmente il sesto uomo in campo. I giocatori avvertirono quell'energia e vinsero la partita. Immaginare una situazione del genere oggi è quasi improbabile.
Vero, l'Inferno Biancorosso non esiste più e la curva arranca nel trovare un'organizzazione tale da rendere al palas un clima favorevole ai biancorossi e ostile per gli avversari. Ma le "colpe", se di colpe possiamo parlare, non possono riversarsi solo sul tifo organizzato. E le "colpe" di una squadra poco appetibile e con poche ambizioni arrivano fino a un certo punto, perché è proprio nel momento di difficoltà che il pubblico dovrebbe rispondere presente.
Il fine di questo articolo non è quello di puntare il dito verso qualcuno ma cercare risposta alla domanda: come si è arrivati a tutto questo?
Va detto, il fatto che il basket pesarese da anni non navighi più in alte quote è un fattore sicuramente incisivo nella calorosità del pubblico, che da un lato si sente sicuramente "tradito" da poca ambizione in risposta a così tanta fedeltà (e i numeri, anche quest'anno, lo confermano). Ma quello del pubblico pesarese sembra essere un affievolimento che riguarda lo sport cittadino in generale, non solo nel basket.
Prendiamo in considerazione altri due sport pesaresi: calcio e calcio a 5. (Non me ne vogliano rugby, football americano e altri sport, ma tengo considerazione di campagne abbonamenti terminate e stagioni iniziate). La Vis Pesaro, al secondo anno in Lega Pro, non è riuscita a superare la quota dei mille abbonati. Obiettivo che lo scorso anno era riuscito, complice anche la promozione dopo più di una decade di assenza. Il problema del pubblico qui si riversa più sul fattore numerico e di presenza al Benelli.
Come riportano i colleghi di Solo Vis Pesaro: "Se il Tonino Benelli non si riempie neanche nelle partite di cartello, vedi Padova e Triestina da ultime, è giusto fermarsi, riflettere e analizzare. Secondo i dati ISTAT lo sport più praticato e visto in Italia è il calcio. Allora, perché a Pesaro la gente allo stadio non ci viene? Un girone B con squadre di altissimo blasone e una Vis che si gioca la permanenza in serie C per il secondo anno consecutivo dopo 13 di inferi: già questi ingredienti dovrebbero essere soddisfacenti per un degno piatto. Invece no, il pasto preferito è quello in un ristorante, a un aperitivo fotogenico o magari uno schermo piatto che mangia lo stesso ascoltatore in solitudine. Penso che tutto ciò a buona parte dei lettori piacerebbe. Ma, come per chi lavora, per chi studia, per chi spende tempo libero, la cosa che distingue è solo una: la passione, dal latino, neanche farlo apposta, soffrire."
Sul fronte calcio a 5 la situazione non sembra essere migliore. A suonare il campanello d'allarme è lo stesso presidente dell'Italservice che, ricordiamolo, è campione d'Italia in carica e quest'anno giocherà anche la Champions League. "Una giornata negativa da tutti i punti di vista a partire dal pubblico, pochissima gente e una risposta negativa anche dal tifo. Ringrazio tutte le persone che sono venute ma questi non sono i miei obiettivi, della mia famiglia e di questa società. Se questi sono e saranno i risultati, a fine anno probabilmente ci trasferiremo o comunque prenderemo provvedimenti", aveva dichiarato patron Pizza dopo un pareggio casalingo per 4-4 contro Mantova, alludendo anche a un filo diretto tra sostegno del pubblico e rendimento della squadra. O quanto meno a una percentuale di esso.
Cosa sta succedendo al pubblico di Pesaro? A fronte di anni di poca ambizione (basket), ci sono altre due realtà che invece hanno vissuto stagioni entusiasmanti. Vero anche che la Vis Pesaro sta disputando una stagione sofferente e che il calcio a 5 non è uno sport particolarmente blasonato, anche se va reso merito a patron Pizza del grande lavoro culturale ancor più che sportivo nell'aver portato questo sport sotto i riflettori.
C'è da far fronte, almeno per i numeri, anche sulla questione economica post-crisi: con tre squadre tra i professionisti, di cui due in massima serie, e con le gare che si riversano tutte nel weekend, è dura trovare un dispendio di denaro e tempo che permetta di dividere in maniera proporzionate e soddisfacente il pubblico di Pesaro. Gli interessi dei pesaresi probabilmente stanno vertendo su altro, che mettono lo sport in secondo piano. Tolte le spese obbligate (mutuo, assicurazione, bollo, affitto, ecc.), quel che rimane è un investimento che il pesarese preferisce fare altrove. Da questo punto di vista, l'Italservice ripristinerà il venerdì come giorno ufficiale per le partite casalinghe, in modo da sparigliare un po' il calendario di impegni cittadini. Una mossa intelligente, dopo l'azzardo del sabato, giorno nel quale i pesaresi hanno evidentemente preferito fare altro. Questioni di priorità.
E come si costituiscono queste priorità? Qui entra in gioco il fattore dell'appeal. La Vuelle paga dazio degli anni di sofferenti lotte per non retrocedere. Ma più che in numeri lo paga in entusiasmo: il basket fa parte del DNA cittadino ed è diventato ormai un'abitudine. Il punto è che il pubblico non ci crede più e si reca al palazzo come se andasse a teatro, dove può assistere in maniera passiva allo spettacolo dello sport. Perché, vuoi o non vuoi, a Pesaro la passione per il basket resta. Sempre.
Il versante Vis è l'opposto: la scorsa è stata la prima stagione tra i professionisti dopo 13 anni di assenza, assieme a una partnership con la Sampdoria che dovrebbe alimentare l'entusiasmo. La fame di calcio si è esaurita dopo solo una stagione? A fronte di un calo di abbonamenti, l'entusiasmo dei presenti invece è sempre alto, pronti ad organizzarsi anche in funamboliche trasferte nei turni infrasettimanali. Quindi no, la fame non è passata, ma molti commensali hanno lasciato il tavolo e non si riesce a trovarne altri.
Il calcio purtroppo paga pegno delle due problematiche evidenziate finora: le priorità economiche e l'appeal al campionato, intrecciate in un rapporto bi-univoco. Il pubblico dello sport vive, purtroppo e per fortuna, anche di occasionali, pronti a cambiare sciarpa in base al vento che tira. Se la Vis Pesaro disputasse una stagione di livello molto probabilmente avrebbe molto più pubblico. Ma l'investimento economico nello sport non è il focus principale.
Stiamo assistendo a un graduale passaggio verso la passività del pubblico, sempre più invitato a dover stilare una propria agenda di appuntamenti: l'aperitivo, la cena, lo shopping, il bollo, il mutuo, lo sport. Tutto rientra nello stesso calendario, obbligato gioco-forza da questioni economiche. Lo sport è entrato nella routine e la routine uccide la passione. Come ricordano gli amici di Solo Vis Pesaro, passione deriva dal latino soffrire. Un giorno, forse, torneremo a trovare la voglia di soffrire per qualcosa.