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mercoledì 04 settembre 2019

«Siate forti e combattete duro»

«Siate forti e combattete duro»

di Luca Petinari

Ricordo tutto e nulla della stagione 2003/2004. Ricordo che avevo 13 anni, andavo nel settore N3 dell'allora BPA Palas con i miei compagni di squadra e assistevamo a uno dei campionati più leggendari del basket italiano: vuoi per l'elevato livello delle squadre (Siena, Treviso e Bologna versante Fortitudo facevano davvero impressione, a rivederle oggi), vuoi per l'entusiasmo che può provare un ragazzino a vedere quel gioco. Ricordo che noi, l'allora Scavolini, eravamo fortissimi. E forse qui i miei ricordi da giovane sognante mi tradiscono, ma non ho memoria di una partita giocata male: o era colpa degli arbitri o gli avversari avevano avuto fortuna. Mai demerito nostro. Eravamo fortissimi. Punto.

Ovviamente non era così, ma con quella squadra era impossibile non sognare ad occhi aperti: una leggenda come Sasha Djordjevic, le soluzioni perimetrali di Rodney Elliot, la presenza massiccia sotto le plance di Bud Eley, l'energia di Marko Milic, l'esperienza di German Scarone e Ale Frosini, il cuore del capitano Silvio Gigena, il sostegno di Matteo Malaventura e la promettente presenza di Teemu Ranniko. Ma soprattutto, sognavamo per lui: Alphonso Ford, uno dei giocatori più forti che i parquet europei abbiano mai visto.

Nato a Greenwood, sulle sponde Mississippi, dove ha mosso anche i primi passi con il basket e dove ha iniziato fin da subito a farsi notare. Inizia subito con un record, ancor prima di intraprendere la carriera da professionista: nei quattro anni alla Mississippi Valley State University viaggia con oltre 25 punti di media, mai nessuno vi era riuscito prima nella storia dell'NCAA. Questo dominio gli vale una chiamata in NBA: ci prova coi Sonics, ci prova coi Sixers, ma né a Seattle né a Philadelphia va bene. Comincia così il suo pellegrinaggio in europa, continuando, come sempre, a bruciare le retine.

Prima approda in Spagna, poi fa da sponda ad Atene, in quattro squadre, fino a trovare il palcoscenico dell'Eurolega con il Peristeri prima e con l'Olympiakos poi. Il feeling con l'Europa è fortissimo, qui sembra aver trovato la sua dimensione. Nel 2002 approda in Italia, a Siena, dove per il terzo anno consecutivo conquista il titolo di miglior realizzatore nel torneo europeo e trascina la squadra toscana alle sue prime Final Four. Il vecchio continente si inchina alla sua eleganza e alla sua naturale capacità con la quale sforna punti.

Nella stagione successiva accetta l'offerta e il progetto ambizioso di Pesaro, dove disputa forse la sua stagione migliore. La sua ultima. Con la 10 biancorossa, quasi un parallelismo con i fantasisti del calcio, arriva quarto in campionato, fermandosi alle porte della finale scudetto fermato dalla sua ex-squadra, la Montepaschi Siena, che poi andò a vincere il suo primo titolo nazionale. Ci porta anche in finale di Coppa Italia, dove però la Benetton fa valere il suo roster. Resta nella storia però la semifinale con la Skipper Bologna: in realtà Alphonso non giocò benissimo, uscì per cinque falli e ci trascinò un enorme Sasha Djordjevic. In ogni caso, Fonzie, ne mise dentro 18, con la sua solita estrema eleganza.


Non a caso è soprannominato Puma, per il suo passo felpato e i suoi movimenti felini, letale per gli avversari quando decide di attaccare. In maglia biancorossa conquista anche la partecipazione alla sua amata Eurolega. Finisce la stagione, ma tutti sono già carichi per la prossima. Sulle spalle di Ford, però, incombe il peso della leucemia. Un peso che porta con sé da sette anni e che sopporta alternando medicine e lunghi riposi. Nessuno sapeva nulla della malattia, nessuno doveva saperlo. Era una battaglia, questa, che Alphonso voleva combattere in uno contro uno.

A giugno 2004, Ford firma il rinnovo con la Scavolini. Una conferma fondamentale in vista anche della partecipazione in Eurolega. Ma Ford sa che probabilmente la stagione appena passata sarebbe stata anche la sua ultima. Durante l'estate le sue condizioni peggiorano, ed è allora che arriva la prima grande botta per Pesaro e il basket tutto. Ad agosto Alphonso Ford annuncia il suo prematuro ritiro con una lettera che ancora oggi è simbolo di lealtà, professionalità, passione e amore verso lo sport.


"Siate forti e combattete duro, il mio cuore sarà sempre con tutti voi", è l'annuncio della tragedia imminente. Dopo poco più di una settimana, il 4 settembre 2004, Alphonso Ford si spegne a Memphis, circondato dai suoi cari. Il mondo del basket, europeo e non solo, si stringe attorno alla perdita di uno dei giocatori, ma soprattutto uomini, che hanno fatto la storia di questo sport.

Oggi l'Eurolega lo omaggia ancora dedicandogli il titolo di capocannoniere della stagione: l'Alphonso Ford Trophy. Il modo più bello di inaugurarlo avvenne nella stagione 2004/2005, quella successiva alla sua scomparsa, dove a vincere il premio su Charlie Smith, approdato a Pesaro proprio per prendere il posto del Puma.

Alphondo Ford ti conquistava per il modo in cui lottava in campo: mai esuberante, mai sopra le righe, sempre umile e ligio al dovere. Dominava le partite e annullava squadre intere: nonostante questo portava sempre sommo rispetto per chiunque. Il suo talento era a servizio della squadra, non un vezzo personale per fare tabellino e battere qualche record. Dava l'anima in campo. Ed è il tipo di atteggiamento che a Pesaro fa entrare i giocatori nel cuore della città. Sembrava che giocasse ogni partita come se fosse l'ultima. Noi non lo sapevamo, ma era davvero così.


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