Politica

lunedì 28 giugno 2021

Potere al Popolo, mercoledì la manifestazione per chiedere che "ad essere licenziati siano gli sfruttatori"

Potere al Popolo, mercoledì la manifestazione per chiedere che "ad essere licenziati siano gli sfruttatori"

di Assemblea Regionale - Potere al Popolo Marche 

Mercoledì 30 giugno il governo Draghi lascerà scadere il blocco dei licenziamenti.

Ad Ancona come nel resto d’Italia Potere al Popolo scenderà in piazza, per chiedere che, questa volta, ad essere licenziati siano gli sfruttatori. Da tempo Confindustria, così come da tutte le associazioni padronali, chiedono la revoca del blocco, preannunciando la precarizzazione e incertezza che ci attende con i 5000 licenziamenti di Alitalia o la situazione delle lavoratrici e dei lavoratori Embraco a Torino. Anche nelle Marche l’Elica di Fabriano, parallelamente al sottotraccia di migliaia di lavoratori in attesa di CIG da più di un anno, si accoda alla virulenza dello sfruttamento padronale. Nel 2020, secondo l’ISTAT la pandemia ha già comportato una perdita di 900 mila occupati, con un crollo delle ore lavorate che, ovviamente, tocca in maniera ancora più profonda quella parte di popolazione chiamata a sostituire il welfare nell’assistenza dei propri cari: le donne. Ma, d’altronde nella nostra Regione, la riorganizzazione dei servizi sociali in senso familistico, ad uso e consumo delle donne come incubatrici e badanti, è diventata a tutti gli effetti proposta di legge. Sempre l’ISTAT ci ricorda che, tra gli occupati, i part-time involontari sono circa 2,7 milioni in Italia. E accanto a lavoratori costretti a rimanere in equilibrio fra 2-3 lavori contemporamente, assistiamo a un’ulteriore crescita dei lavoratori poveri, + 230 famiglie rispetto al 2019. E parliamo di dati ufficiali. Nelle nostre spiagge, nei ristoranti e alberghi che animano le città in riviera il sommerso del lavoro stagionale, le assunzioni in nero, senza tutele, i fuori busta rappresentano la quotidianità di lavoratrici e lavoratori anche prima della pandemia.

Oggi le associazioni di categoria, gli imprenditori, non solo chiedono lo sblocco dei licenziamenti ma l’abolizione del reddito di cittadinanza, proponendo salari da fame che non permettono di pagare l’affitto (figuriamoci il tablet per la dad o la rata dell’auto!), ma soprattutto che non garantiscono neanche di superare la soglia di sussistenza. Di fronte a un modello di sviluppo in conflitto con la vita non possiamo che pretendere un’inversione di rotta, a difesa del nostro lavoro e della dignità umana: salario minimo, reddito di base, applicazione dei ccnl, assunzioni stabili, redistribuzione del reddito e delle risorse.

Le misure dei bonus spesa, delle indennità una tantum rappresentano forme di compensazione emergenziali di fronte a una crisi sociale ed economica che poggia le sue radici ben prima del covid. Le scelte politiche degli ultimi 40 anni sono state di ridurre al minimo i nostri possibili anticorpi: sanità, assistenza sociale, scuola, ricerca, infrastrutture. E di pari passo allo smantellamento dei servizi la “flexINsecurity” cui siamo stati costretti non solo non ci garantisce un futuro ma ci priva del presente. Ci usura nei luoghi di lavoro, togliendoci il diritto all’esistenza e a costruire una famiglia, ci uccide come Luana, ci accusa come nella tragedia del Mottarone, ci investe come nel caso di Adil e Abd El Salam, sindacalisti travolti (e uccisi) dai camion che forzavano i picchetti dei lavoratori. Ci toglie la vita non assicurando DPI e distanze di sicurezza, non garantendo riposi e turnazioni, ci mette in pericolo ogni giorno. Non abbiamo più terreno per arretrare in attesa di tempi migliori, abbiamo solo la possibilità, il dovere di costruire un’alternativa di sistema.

Ci vediamo davanti Confindustria per rivendicare il nostro diritto a esistere.

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